Convegno del 1 ottobre 2015 |
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Atti del convegno SISTE/CEC a EXPO La filiera sostenibile della cosmesi biologica |
1 ottobre 2015 |
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Si è svolto il 1° ottobre u.s. il secondo degli incontri dedicati al biologico organizzati in EXPO 2015 da SISTE
e CCPB, organismo per il controllo e la certificazione biologica sul tema ”La filiera sostenibile della
cosmesi biologica”.
Numerosi gli argomenti legati al mondo della cosmesi naturale e biologica certificata affrontati durante il
dibattito,
moderato dalla presidente SISTE, Marinella Trovato. Dibattito che ha dato modo ai relatori, esponenti del
mondo della produzione, distribuzione e certificazione di questi prodotti, di esprimere un parere, sulla
base delle proprie competenze ed esperienze, su cosa siano i “cosmetici certificati” e cosa li distingua
in termini di composizione, impatto ambientale e impatto etico, da un cosmetico “convenzionale”.
Come noto, in mancanza di una norma specifica che stabilisca i criteri cui devono rispondere i prodotti
cosmetici perché li si possa definire naturali o biologici, tale aggettivazione, oggi, si fonda sull’adesione
a disciplinari di certificazione privata oppure esclusivamente sull’idea di “naturale” cavalcata dal marketing
pubblicitario. Un’azienda che vuole certificare i propri prodotti come naturali, biologici o con ingredienti
biologici, può scegliere tra diversi disciplinari di certificazione privata, riconoscibili dal consumatore
grazie all’apposizione in etichetta di un logo specifico. Tali disciplinari possono essere estremamente
diversi tra loro nei contenuti. I più validi stabiliscono un elenco positivo di ingredienti ammessi e i
metodi per la loro lavorazione, il contenuto minimo di sostanze naturali (e biologiche) necessarie a
raggiungere la certificazione e il contenuto massimo di sostanze natural-identiche impiegabili. |
Come ha sottolineato
Claudio Bettuzzi,
responsabile area non alimentare di Baule Volante, azienda specializzata nella distribuzione di alimenti
biologici e prodotti certificati per la cura della persona, la nascita della cosmesi biologica certificata
si deve all’interesse del consumatore nei confronti di questi prodotti. La richiesta di cosmetici
naturali è arrivata, infatti, prima ancora che il settore produttivo fosse in grado di presentarne
una reale offerta, sovvertendo la dinamica che vuole la “creazione di un bisogno” indurre la domanda
di beni per soddisfarlo. Il profilo del consumatore di cosmetici “bio” è delineato da tempo: il soggetto
che le indagini di mercato ci restituiscono è una donna, di età compresa tra i 30 e i 45 anni, di livello
culturale medio-alto, già consumatrice di alimenti biologici. Tuttavia, sottolinea Bettuzzi, a fronte di
una richiesta tanto specifica, il consumatore di cosmetici naturali non ha ancora tutti gli strumenti
necessari per decodificare la grande quantità di prodotti presentati come tali sul mercato. Internet
è sicuramente una fonte inesauribile di informazioni anche in questo ambito, ma non tutto quello che vi
si trova è attendibile, e in alcuni casi le indicazioni risultano volutamente faziose. In questo contesto,
il ruolo dell’operatore qualificato, sia esso erborista o farmacista, diventa fondamentale per supportare
il cliente nell’acquisto, e per “fare cultura” su questi prodotti. Così come fondamentale, per conquistare
credibilità presso il consumatore, è operare scelte di rigore nella selezione dei prodotti, non dettate
esclusivamente dal margine di guadagno.
Anche Fabrizio Piva, amministratore delegato
CCPB, conferma la notevole confusione nel mercato ed il fatto che il consumatore
non abbia sempre gli strumenti necessari a cogliere le differenze esistenti tra prodotti che rivendicano le stesse caratteristiche
di naturalità. Anche considerando i soli prodotti “certificati”, le rilevanti difformità esistenti tra i diversi disciplinari
privati in relazione alle norme di produzione ammesse e agli ingredienti impiegabili nella formulazione dei cosmetici,
non agevolano di certo l’utente, che in etichetta leggerà le stesse dichiarazioni a fronte di differenze anche sostanziali
tra i prodotti. In assenza di una puntuale analisi dei disciplinari di produzione (a volte non accessibili ai consumatori
per scelta degli stessi enti di certificazione) le differenze esistenti tra questi prodotti non potranno essere colte né
dalla lettura della lista “ingredients” né tanto meno dalla descrizione del prodotto recata in etichetta. Sarebbe auspicabile
che il consumatore fosse in grado di selezionare loghi ed enti di certificazione, e quindi i disciplinari di produzione,
che meglio garantiscono la naturalità di questi prodotti. In relazione alla differenza
esistente, all’interno del disciplinare CCPB, tra un cosmetico definito naturale e uno
biologico, Piva sottolinea che affinché un cosmetico possa definirsi naturale, almeno
il 95% del totale degli ingredienti del prodotto devono essere naturali e/o di origine
naturale, compresa l’acqua aggiunta. Se un cosmetico vuole definirsi “biologico” o “con
ingredienti biologici”, dovrà contenere, rispettivamente, almeno il 95% o il 70% (in peso)
di ingredienti da “agricoltura biologica” sul totale degli ingredienti naturali certificabili
ai sensi del Reg. (CE) 834/2007 (e/o ingredienti conformi al disciplinare CCPB o a quelli
ritenuti equivalenti).
Di standard e relative differenze ha parlato anche Francesca Morgante, label manager di
NATRUE – The International Natural and Organic Cosmetics Association.
L’associazione,
nata sette anni fa a Brussels (Belgio), fu istituita originariamente per sottoporre
al legislatore europeo le istanze delle principali aziende produttrici di cosmetici
naturali. La richiesta comune era che fossero inserite all’interno del testo del
regolamento cosmetici (Reg. (CE) 1223/09), allora in via di stesura, precise definizioni
e parametri da rispettare per poter rivendicare le indicazioni di cosmetico “naturale”
e “biologico”. La mancanza di un sistema univoco di garanzia, infatti, non solo confonde
il consumatore sulle reali caratteristiche dei prodotti sul mercato, ma non tutela neppure
le aziende da una concorrenza sleale. Come noto, tali richieste, per quanto legittime,
furono disattese. L’associazione si è allora fatta promotrice di uno standard
internazionale, che porta il suo nome: attualmente i prodotti certificati NATRUE
sono 4500, per un totale di circa 200 marchi internazionali. Può ottenere la
certificazione, sottolinea la Morgante, solo un prodotto che rispetti severi
criteri per quanto riguarda le materie prime utilizzate e la lavorazione del
prodotto. Il disciplinare presta grande attenzione anche al contenitore del
cosmetico al fine di ridurre al minimo l’impatto ambientale del packaging,
riducendo la quantità di materiale utilizzato e impiegando, per quanto fattibile,
materiali riciclabili e possibilmente da fonti rinnovabili.
Ma quali differenze caratterizzano, in termini di composizione, un cosmetico “naturale” da uno
“convenzionale”? A questa domanda risponde Patrizia Poggiali, titolare di Gala cosmetici, azienda
che da circa 10 anni si è dedicata a questa tipologia produttiva. Per capire le differenze è sufficiente
paragonare il
numero di sostanze utilizzabili per la loro formulazione: il disciplinare di certificazione
cui l’azienda ha aderito, ammette l’impiego di circa 300 sostanze, contro le oltre 3.000 ammesse dal
regolamento cosmetici, l’utilizzo di 1 filtro solare contro i 27 inseriti nel Reg. (CE) 1223/09 e di
4 soli conservanti. La differenza in termini di materie prime è quindi enorme. Di conseguenza, per
sviluppare un prodotto non solo naturale, ma anche gradevole da utilizzare, con texture e profumazioni
piacevoli, è necessario conoscere molto bene le materie prime e trovare soluzioni innovative, anche in
termini di packaging. Il maggior costo delle materie prime e i costi delle verifiche effettuate dall’ente
certificatore a garanzia di ingredienti e prodotti finiti, incide, ovviamente, sul costo dei cosmetici.
Per questo, ritiene Poggiali, è necessario investire in comunicazione al consumatore, per trasferirgli
il valore aggiunto di questi prodotti.
Le piante officinali sono eccezionali laboratori di sostanze che possono trovare impiego in cosmetica.
Il ricorso a tale ingredientistica, in particolare se di origine biologica, rende questi prodotti, almeno
per quanto riguarda la loro composizione, a ridotto impatto ambientale in termini di emissioni nell’atmosfera
e conseguente effetto sul clima. E’ quanto sostiene Andrea Primavera, agronomo e presidente della Federazione
italiana produttori piante officinali (FIPPO). L’interesse del pubblico per il bio nasce soprattutto dalla
convinzione che si tratti di alimenti più sani, perché per la loro produzione sono stati impiegati meno
prodotti fitosanitari. Consumarli diventa, quindi, un modo di prendersi cura di se stessi. In realtà,
sostiene Primavera, la scelta di acquistare ed alimentarsi con prodotti biologici dovrebbe essere mirata
a ridurre l’effetto delle colture tradizionali sull’ambiente (impiego di fertilizzanti, pesticidi,
impoverimento del suolo, etc). Una scelta, quindi, che salvaguardia il bene comune. Scelta che può
concretizzarsi anche attraverso la preferenza verso i cosmetici certificati biologici.
Di valore aggiunto parla anche Valeria Calamaro di CTM Altromercato, che nel suo appassionato intervento
spiega come questo aspetto non debba riguardare esclusivamente la scelta degli ingredienti o il packaging
riciclabile dei prodotti, ma debba coinvolgere l’intera filiera produttiva, con una scelta di sostenibilità
non solo ambientale, ma anche sociale. Il valore economico del prodotto, cioè, deve essere correttamente
ripartito tra tutti gli operatori coinvolti, da chi coltiva le materie prime (soprattutto se provenienti
da Paesi del terzo mondo) a chi sviluppa il cosmetico. Può risultare difficile far percepire al consumatore
il concetto di “sostenibilità sociale di filiera” in relazione ad un prodotto voluttuario come un cosmetico,
ma il percorso è fattibile se si riesce a trasmettere al cliente il valore che il prodotto porta con sé, e
che ne determina il costo maggiorato. In questo contesto, sostiene Calamaro, la certificazione accredita
l’impegno di una azienda, o di una organizzazione come CTM Altromercato, nel raggiungimento di un preciso
obiettivo e, contestualmente, garantisce la qualità dei prodotti. E questo, a sua volta, oltre ad essere
un’ulteriore tutela per il consumatore, fa da volano per il loro inserimento in mercati importanti, con
vantaggi per tutti gli operatori della filiera.
Il valore di un cosmetico naturale e biologico certificato non è quindi legato solo alla natura degli ingredienti,
ma ha un impatto di ben più ampia portata.
Dare la preferenza a questo tipo di cosmetico, oltre all’interesse particolare per la cura del sé, rappresenta
espressione di impegno sociale nei confronti di una intera filiera ed in termini di salvaguardia dell’ambiente. |
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